Il mito di Icaro: tra ambizione, colpa e libertà di Sonia Demurtas

Il mito di Icaro: tra ambizione, colpa e libertà di Sonia Demurtas Il mito di Icaro è da sempre simbolo dell’ambizione umana, ma anche del suo limite. Icaro, figlio dell’inventore Dedalo, fu punito per aver volato troppo vicino al sole con ali di cera costruite dal padre. Il calore le sciolse e il giovane precipitò in mare. Tuttavia, ridurre questa storia a una semplice lezione sull’arroganza sarebbe troppo limitante. Il racconto affonda le radici nella colpa del padre Dedalo, genio brillante ma geloso, che uccise il nipote Talo per paura della sua intelligenza. In esilio a Creta, Dedalo creò il labirinto per Minosse, ma venne imprigionato insieme a Icaro. Progettò allora una fuga ingegnosa: volare via con ali fatte a mano. Icaro, però, disobbedì alle raccomandazioni paterne e si avvicinò troppo al sole. Molti artisti hanno riletto il mito: Canova scolpì la tensione tra padre e figlio; Bruegel rappresentò l’indifferenza del mondo alla tragedia; Matisse, infine, trasformò la caduta in una danza libera e gioiosa, offrendo una visione più positiva. Icaro diventa così simbolo della tensione tra eredità familiare e desiderio di libertà. Un invito a osare, anche a costo di cadere. Perché, come scrive Sannazaro, “felice chi in tal fato a morte venne, che sì bel pregio ricompensi il danno”.
Ancora tra cielo e mare sembrano udirsi queste parole: "Vola a mezza altezza, Icaro, mi raccomando, in modo che l’umidità non appesantisca le penne se vai troppo basso, e il calore non le bruci se vai troppo alto…Vienimi dietro, ti farò da guida.” Partono padre e figlio verso la loro avventura, Dedalo davanti si continua a girare timoroso per Icaro, esortandolo. Pastori e pescatori sulla terra li osservano stupiti scambiandoli per divinità, quando mai un uomo aveva del resto osato così tanto? Ed ecco che Icaro, presa dimestichezza con il volo, comincia a diventare più ardito. Attratto dal cielo si stacca dal padre e, come lui aveva temuto, si porta sempre più in alto. La vicinanza del sole scioglie quindi la cera delle ali e ben presto precipita a capofitto nelle acque azzurre che da lui prendono il nome: il mare Icario. Dice Ovidio: “Il misero padre, ormai non più padre, ‘Icaro’, gridava intanto, ‘Icaro – gridava – dove sei? Da che parte sei andato? Icaro!’ gridava, quando scorse le penne sui flutti. E allora maledisse la sua arte, poi compose la salma in un sepolcro.” La perdita di Icaro e il tormento che ne deriva vengano acuiti nel vecchio Dedalo dal senso di colpa, quando una pernice ciarliera lo scorse mentre tumulava il corpo e trillò di gioia. Si trattava del nipote ucciso, simbolo di quella colpa che aveva causato la morte di Icaro. La vicenda di Ovidio si chiude così, con una punizione esemplare per Dedalo che viene ferito nel suo orgoglio di inventore geniale – le ali fittizie non hanno funzionato – e nel suo affetto paterno, un aspetto della personalità di Dedalo che l’autore latino sottolinea con insistenza. Quella di Icaro e di Dedalo è una vicenda dai molteplici messaggi.

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